Accentuatosi nel corso degli ultimi decenni a seguito delle politiche di sperequazione, che, a Costituzione rovesciata ed in ossequio alla teoria neo-liberista della locomotiva e dello sgocciolamento, ogni anno destinano soltanto il 28% (290.9 miliardi di euro) delle risorse pubbliche complessive dello Stato italiano (1.026.3 miliardi) al 34% della popolazione residente al Sud (61,5 miliardi in meno), e il 71,7% (735,4 miliardi) al 66% della popolazione residente al Nord (61,5 miliardi in più), dietro le cortine fumogene della “questione settentrionale”, riemerge, come “araba fenice”, in tutta la sua recrudescenza la “questione meridionale”, che, nell’attuale contesto storico, si configura nei termini di “nuova questione meridionale”, in quanto questione sì nazionale per le sue matrici e le sue conseguenze, ma anche europeaeuro-mediterranea, non solo relativa al divario economico e sociale ma anche a quello di cittadinanza tra il Nord e il Sud di un Paese sempre più diviso tra cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Agitata dalla Lega Nord e dai maggiori partiti sedicenti nazionali, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (2001), l’attuale egemonia della “questione settentrionale”, del tutto consustanziale alla concezione neo-liberista della società, rischia di sostanziarsi nella rottura conclamata del patto repubblicano di solidarietà sancito nel ‘48 tramite l’attuazione del regionalismo differenziato, ossia di un federalismo di tipo estrattivo, asimmetrico, discriminatorio e sperequativo, che, se realizzato, sancirebbe in modo definitivo ed irreversibile la condizione del Sud come “colonia estrattiva interna” di un miope, bulimico ed egoistico sistema-Nord, sino a giungere alla “balcanizzazione” dell’intero sistema-Paese.

Tali politiche di sperequazione sociale e territoriale, che sono condotte da un ceto dirigente nazionale a trazione settentrionale in alleanza con le classi dominanti estrattive meridionali, trovano la loro giustificazione ideologica nelle narrazioni di matrice razzista di un Sud “sudicio, ozioso, malavitoso, brigantesco, mafioso”, di un Mezzogiorno come “parte cattiva dell’Italia”, come “palla al piede” e “rovescio della nazione”, la cui “razza maledetta” va costruita tramite diversi dispositivi di disciplinamento, che concorrono ad una “colonizzazione mentale” tesa all’educazione all’inferiorità ed alla subalternità rispetto ad un Nord assunto a parametro della modernità capitalista.

Entro tale contesto tratteggiato nelle sue linee essenziali, la rivista Meridione/Meridioni. Sud Italia/Sud del Mondo si prefigge di:

  1. Offrire un contributo al rilancio del dibattito sulla “nuova questione meridionale”, declinandola come questione economica, sociale, politica e civile di portata nazionale, europea e mediterranea in contrapposizioni con le pericolose derive identitaristiche e localistiche speculari a quelle alimentate dalla Lega Nord.
  2. Sfatare i pregiudizi antimeridionali e favorire l’approfondimento delle analisi critiche sul Sud Italia e la loro divulgazione in un’ottica comparativa globale multi- ed interdisciplinare, facendo dialogare tra loro saperi quali la storia, la sociologia, l’economia, il diritto costituzionale, la teoria della comunicazione, la filosofia, l’antropologia culturale, gli studi postcoloniali, la scienza politica e la pedagogia civile.
  3. Costruire uno spazio di confronto interno di tipo orizzontale, dialogico e partecipativo per l’arricchimento reciproco dei redattori sugli argomenti in questione.
  4. Costruire uno spazio di confronto e di approfondimento esterno laico, aperto e pluralista, scevro da logiche settarie, tramite il coinvolgimento ed i contributi di politici, attivisti, giornalisti, studiosi, ricercatori indipendenti ed accademici esperti dell’argomento.

Dunque, lo scopo della rivista consta nel contribuire ad alimentare ulteriormente uno spazio pubblico di discussione sulla “nuova questione meridionale”, nella consapevolezza che, se essa rappresenta un tassello delle diseguaglianze alimentate dal capitalismo di mercato a livello globale, è anche vero che in Italia si propone di istituzionalizzare i divari territoriali tra Nord e Sud, tra zone interne ed urbane, tra centri e periferie, tramite un forma di federalismo discriminatorio, che finirebbe con il cristallizzare in via del tutto definitiva la plurisecolare “costruzione dell’idea coloniale di Sud”.

In conclusione, contro tale deriva di portata storica e nella consapevolezza del vuoto di rappresentanza politica che coinvolge il Sud, le zone interne e le periferie a livello territoriale e i lavoratori sempre più precari, i disoccupati, gli inoccupati, i giovani e le donne a livello sociale, anche nel solco della lezione meridionalista di Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci e Guido Dorso, non solo occorre interrogarsi sul cosa fare per superare definitivamente lo storico dualismo tra le “due Italie”, ma occorre anche interrogarsi sul chi deve fare cosa, ed agire in modo consequenziale per costruire quella soggettività che se ne faccia promotrice a livello sociale, economico, politico, civile e culturale.

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