di Antonio Scialpi

La civiltà digitale nata dalla quarta rivoluzione industriale, come tutte quelle precedenti, è piena di contraddizioni. Non è superficiale affermare che trattandosi di una rivoluzione tecnologica non modifica lo status quo dei rapporti tra Nord e Sud del Mondo, in quanto, questi squilibri sono preesistenti e non legati solo all’innovazione tecnologica.  I campi in cui l’IA offre il suo aiuto sono cinque, in ordine: istruzione, sanità, agricoltura, sviluppo economico e governance.

L’IA sta già portando progressi notevoli in questi settori in cui più manifeste sono le differenze tra le diverse aree geografiche del mondo. Specie nel campo dell’apprendimento e della cura delle persone.  Ma le modalità di approccio restano antiche.

Sicuramente non vedremo più le forme del vecchio colonialismo e dell’accaparramento delle terre che storicamente abbiamo conosciuto, spogliando le popolazioni delle proprie risorse.

Anche se le due guerre che attraversano drammaticamente il mondo in questo momento, quella russo-ucraino e quella israeliano-palestinese stanno avendo risvolti tali da non far dimenticare il vecchio colonialismo ottocentesco: il possesso della Crimea da parte russa e quelle delle “terre rare” da parte americana per l’Ucraina eil progetto ad alto indice di disumanità di Trump e Netanyahu: la deportazione di quello che resta della popolazione di Gaza.

 L’IA, che resta sempre uno strumento tecnico, seppur molto differente per la invasività sulla “persona”, per analogia rassomiglia all’energia nucleare: può essere utilizzato per fini pacifici e migliorativi della condizione umana anche in termini di pari opportunità Nord-Sud, ma può tendenzialmente rimarcare ancor di più la differenza tra chi sta “sopra” e chi sta “sotto” nell’esistenza umana. Come è avvenuto e avviene per l’energia nucleare a fini bellici.

Anzi, l’IA, per la sua particolarità, agendo nel campo dell’intelligenza umana potrebbe comportare una degenerazione “invisibile” delle relazioni fra popoli, specie se si prende in considerazione il suo utilizzo per le nuove armi, che, naturalmente, non sono più né le vecchie armi del colonialismo né quelle nucleari, ma quelle totalmente affidate all’IA. Con imprevedibili disastri. 

Nel senso che la civiltà digitale, come le civiltà precedenti, non abolisce la parola “guerra”, ma le dà un nuovo ed inedito significato. Una continuità nella totale rottura epistemica.

Intanto, non sono pari i punti di avvio di questa civiltà. Quelle post-industriali sono ormai al 90% orientati all’uso dell’IA, mentre molti stati dell’Africa e del Sud del Mondo viaggiano con cifre irrisorie, tra oscillanti tra il 20 % e il 30%.

Non solo. Ma il nuovo “schiavismo” è ancora più invasivo poiché tende ad abbattere le condizioni tradizionali del lavoro, rendendo più liquide le relazioni e la precarietà dello stesso, con l’aggravio del controllo accentrato nelle mani dei pochi che decidono, svuotando, difatti, il patrimonio delle faticose acquisizioni dei diritti di cittadinanza.

Senza girare attorno, l’IA e le neurotecnologie comportano uno stravolgimento del concetto stesso di cittadinanza, imponendo un urgente aggiornamento di questa in termini sociali e individuali. Anzi, un suo totale capovolgimento sul piano politico e giuridico, su strade inesplorate e imprevedibili. 

l’Homo connectus è una fase nuova ed inedita dell’evoluzione umana che, come tutti sappiamo, ha già in sé una lacerante lotta per la sopravvivenza, dovuta alla selezione naturale.

Un nuovo darwinismo sociale? Lo stesso concetto di democrazia è destinato a mutar forma. Con interferenze e condizionamenti che dall’individuo si trasferiscono sempre più sulla società, assottigliando il senso stesso dell’umano e del “politico”.

Come per l’energia nucleare siamo davanti ad un bivio: o utilizzare la rivoluzione tecnologica digitale per migliorare la condizione umana, liberandola da ignoranza, malattie, subalternità, sottosviluppo e dittatura o peggiorarla, abolendo le conquiste di libertà.

Per fortuna a decidere la strada siamo ancora noi, con il nostro cervello, con il nostro “io penso “, che non potrà mai essere sostituito o annullato del tutto, seppur condizionabile e contaminabile.

Proteggere la dimensione mentale dell’essere umano da nuove forme di sfruttamento è una grande sfida sociale, che deve essere affrontata a vari livelli, in primis a livello di diritti fondamentali. Quali sono i neurodiritti necessari e tutte le domande aperte sulla “libertà cognitiva”, soprattutto in un contesto in cui le tecnologie possono influenzare o leggere l’attività neurale, annullando i confini per la prima volta tra l’umano e il tecnico? Le nuove disuguaglianze si misurano in questi termini, aggiungendosi a quelle materiali esistenti e alla riduzione degli spazi di democrazia e giustizia sociale.  

Questa è l’urgenza.  Richiamata, subito, dal nuovo pontefice Prevost, che viene dalla terra dove questi processi individuali e sociali sono in essere da tempo e da una terra del sud dell’America ricca, che aggiunge a tutto ciò la storica “sepoltura” della sua civiltà precoloniale e le nuove povertà della civiltà post-coloniale e industriale. Intelligenza Artificiale sì, ma attenzione alla libertà individuale e alla giustizia sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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