di Salvatore Lucchese

Nel corso degli ultimi setti anni, in concomitanza coi reiterati tentativi di attuazione dell’autonomia regionale differenziata ad opera dei governi Gentiloni (2016-2018), Conte I (2018-2019), Conte II (2019-2021), Draghi (2021-2022) e Meloni (2022 ad oggi), si è sviluppato un vasto e variegato dibattito politico-culturale sui nessi che intercorrono tra federalismo fiscale, regionalismo differenziato e gap Nord-Sud.

Nell’ambito di questo dibattito dall’alta valenza pedagogico-civile per la mobilitazione civica e politica contro lo “Spacca-Italia” cui ha dato vita spiccano per rigore scientifico e chiarezza di sintesi relativa ad un argomento di non facile comprensione storica, giuridica, politica, economica e finanziaria, i contributi del costituzionalista emerito della “Federico II” Massimo Villone, Italia divisa e diseguale, dal costituzionalista dell’Università di Torino Francesco Pallante, Spezzare l’Italia, dell’economista dell’Università di Palermo Pietro Massimo Busetta, Il coccodrillo si è affogato, Il lupo e l’agnello, La rana e lo scorpione,  dell’economista dell’Università di Bari Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi?, Contro la secessione dei ricchi, e dal giornalista e saggista Marco Esposito, Zero al Sud, Fake Sud, Vuoto a perdere.

A questi contributi si è affiancato il prezioso volume degli economisti Vittorio Daniele, già professore di Politica economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro, prematuramente scomparso il 13 gennaio 2025, e Carmelo Petraglia, professore di Economia politica all’Università della Basilicata, L’Italia differenziata. Autonomia regionale e divari territoriali, Rubbettino, Soveria Mannelli 2024 (Euro 18,00).

Italia differenziata a seguito dell’eventuale attuazione dell’autonomia regionale differenziata? O già differenziata per indicatori economici, sociali e di cittadinanza? Secondo gli autori non ci sono dubbi:

La storia del nostro paese mostra come ogni frammentazione di competenze e funzioni tra più enti e livelli di governo abbia aumentato i costi, diluito le responsabilità e accresciuto le differenze territoriali nei servizi offerti ai cittadini. È stato così dopo l’istituzione delle regioni. Fino a quando i princìpi di coesione e solidarietà sociale non troveranno concreta realizzazione, non ci sono motivi per pensare che l’autonomia differenziata produca esiti diversi. (Ivi, p. 132) 

Dunque, Daniele e Petraglia sostengono la tesi che l’autonomia regionale differenziata acuirà i divari territoriali, a meno che, come loro stesso evidenziano, “i princìpi di coesione e solidarietà sociale non troveranno concreta realizzazione” (Ibidem). E questi ultimi, sempre a loro parere, potrebbero trovare “concreta realizzazione” (Ibidem) soltanto nel caso in cui la concessioni di maggiori competenze, funzioni e risorse alle regioni richiedenti dovesse essere accompagnata dalla perequazione territoriale.    

Per evitare che le diseguaglianze aumentino, – osservano Daniele e Petraglia – la concessione di maggiore autonomia alle regioni dovrà accompagnarsi con un recupero di centralità dello Stato specialmente negli ambiti nevralgici della sanità e dell’istruzione. A ciò dovrà aggiungersi un’incisiva azione statale di perequazione e riequilibrio territoriale e il miglioramento della qualità dell’azione politica e amministrativa, in particolare nelle regioni meridionali in cui i ritardi sono maggiori. (Ivi, p. 6) 

Sulla base di un puntuale apparato critico-bibliografico che arricchisce ulteriormente il volume, che, allo stesso tempo, si caratterizza sia per la sua rigorosa impostazione metodologica sia per il suo equilibrio e la sua efficacia di alta sintesi divulgativa, i due economisti argomentano e documentano la loro tesi sia sul piano storico-politico sia su quello economico-giuridico da loro declinato anche in chiave comparativa.

Dopo avere contestualizzato la riforma del Titolo V della Costituzione ad opera del Governo di centro-sinistra presieduto da Luigi Amato nell’ambito della centralità della questione settentrionale agitata dalla Lega Nord e della speculare rimozione della questione meridionale, Daniele e Petraglia focalizzano la loro attenzione sulle “tante diseguaglianze” (Ivi, p. 43) che attraversano il Paese, sottolineando che “A differenza delle altre nazioni europee avanzate, in Italia le regioni in ‘ritardo di sviluppo occupano una parte molto grande, circa il 40 per cento del suo territorio” (Ivi, p. 46), dove, sottolineano gli autori, “risiedono circa 20 milioni di abitanti, ovvero il 34% degli italiani”. (Ibidem)

Mediante la comparazione critica tra Italia, Spagna e Belgio rispetto al rapporto che intercorre tra autonomia regionale e diseguaglianze, Daniele e Petraglia evidenziano che per far sì che “le differenze nelle condizioni economiche non si traducano in diseguaglianze nei servizi è, dunque, necessario che vi siano trasferimenti interregionali”. (Ivi, p. 94)

Ma quali materie decentrare e sulla base di quali criteri? A queste domande di cruciale importanza, sulla base di precisi riferimenti teorico-critici, i due economisti sostengono come “non sia conveniente per l’interesse nazionale decentrare a livelli di governo inferiori a quello statale le funzioni di stabilizzazione e redistribuzione (Ivi, p. 106). Di contro, secondo Daniele e Petraglia, “Il decentramento è invece in grado di produrre benefici nell’ambito della funzione allocativa che riguarda la fornitura di beni e servizi” (Ivi, p. 107). A patto che, però, sottolineano i due studiosi, vengano rispettate le condizioni di “peculiarità” (Ibidem), di “rilevanza locale” (Ibidem), e di assenza di “rilevanti economie di scala”. (Ivi, p. 108)

Sulla base di tali condizioni, secondo Daniele e Petraglia, ne segue che le materie contemplate dal Titolo V della Costituzione che possono essere oggetto di richieste di maggiore autonomia regionale si riducono al trasporto pubblico locale e alle attività culturali, ma di certo non possono riguardare, tra le altre, l’istruzione e la sanità, “due beni meritori” (Ivi, p. 111), che, se decentrati, sottolineano gli autori, insieme ad altre materie di rilievo nazionale, causerebbero un ulteriore indebolimento delle politiche nazionali. Indebolimento, sottolineano i due economisti, iniziato alla fine degli anni Ottanta e proseguito negli anni Novanta in “una sorta di continua transizione” (Ivi, p. 123) egemonizzata dai governi di centro-sinistra ed incentrata su “privatizzazioni, liberalizzazioni, decentramento”. (Ivi, p. 125)

Sebbene, evidenziano Daniele e Petraglia, i divari territoriali a livello economico dipendano dalla politica, “ma anche, e soprattutto, dal mercato non così quelli nei servizi pubblici” (Ivi, p. 129). Ne segue che “è su questi divari che dovrebbe concentrarsi la nostra attenzione” (Ibidem).

Dunque, in ultima istanza, Daniele e Petraglia, pur non omettendo di evidenziare le responsabilità del ceto politico meridionale che sono alla base della recrudescenza del gap-Nord-Sud, indicano nei divari di cittadinanza la forma peculiare della “nuova questione meridionale” e la sua soluzione nella conseguente richiesta di perequazione della ripartizione della spesa pubblica complessiva pro-capite a livello terrirotiale. 

 

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