di Antonio Scialpi

La storiografia sulla Liberazione in questi 80 anni, sovente, ha trascurato il contributo alla Resistenza di uomini e donne del Sud, specie nel periodo tra l’8 settembre 1943-25 aprile 1945.
Il primo evento tragico avvenne a Bari, all’indomani del 25 luglio, in Via dell’Arca. L’eccidio del 28 luglio 1943 fu compiuto da un reparto di militari, carabinieri e da fascisti contro una manifestazione pacifica di studenti e docenti in cui perirono 20 cittadini. Il Presidente partigiano Pertini in visita a Bari vi rese omaggio il 3 marzo 1990. A Mola di Bari era stato già ucciso il deputato socialista Giuseppe Di Vagno (1889-1921) di Conversano per mano fascista, complice il gerarca pugliese Giuseppe Caradonna (1891-1963), il 26 settembre 1921.
Antesignano dell’antifascismo pugliese. Il 9 settembre 1943 cominciò a trasmettere clandestinamente Radio Bari, la prima radio libera con l’azionista Michele Cifarelli (1913-1998), che portò il saluto al primo Congresso del Comitato di Liberazione Nazionale il 28-29 gennaio 1944, presieduto da Benedetto Croce (1866-1952), il filosofo liberale che pubblicò le sue opere con la resistente casa editrice barese Laterza.
L’eccidio di Barletta fu una strage nazista, compiuta dalle truppe tedesche della Wehrmacht, il 12 settembre 1943. L’8 settembre, il presidio militare, modestamente armato, ma sorretto dai cittadini, inflisse notevoli perdite ai tedeschi occupatori, a cui prevennero massici rinforzi. Il 12 settembre il presidio si arrese per salvare la città dalla distruzione. Per ritorsione, i tedeschi fucilarono barbaramente 13 inermi vigili urbani e netturbini, fotografando i loro corpi, a memoria. La città di Barletta, fulgido esempio delle virtù delle genti del meridione d’Italia. Così fu motivata la medaglia d’oro al valor militare alla città pugliese conferita nel 2003 dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), preceduta dalla medaglia d’oro al valore civile del 1998del Presidente Oscar M. Scalfaro (1992-1999).
Ma già in Calabria, nel Reggino, poi a Catanzaro e Cosenza vi erano stati significativi contributi alla lotta per la Liberazione, di recente attenzionata dalla storiografia, con particolare riferimento a figure femminili, come Teresa Gullace (1907-1944) simbolo della Resistenza calabra e italiana (Roma Città aperta, 1945). Lo sbarco degli inglesi fra Roccella e Caulonia e a Palmi, vide già protagonista Pasquale Cavallaro (1891-1973), futuro artefice della Repubblica di Caulonia (6 marzo 1945). In seguito a un atto di sabotaggio, contro le armate tedesche in ritirata, a Taurianova, si ebbe la prima vittima antitedesca: Cipriano Scarfò (1889-1943) socialista, sabotatore e fucilato dopo un rito sommario, il 25 agosto 1943.

Matera fu la prima città libera, insorta in armi contro gli occupanti nazifascisticomandati dal maggiore W.W. Graf von der Schulenberg (1917 -1944) il 21 settembre 1943. Il giorno dopo arrivarono gli Alleati. I tedeschi dal 9 settembre si erano macchiati di razzie e soprusi sulla popolazione civile. 

La rivolta materana scoppiò la sera del 20 settembre, quando due soldati tedeschi avevano tentato di farsi consegnare i gioielli dell’oreficeria di Maddalena Caione in via san Biagio.I militari italiani accorsi uccisero i due tedeschi, i cui corpi furono nascosti. Nella barberia di Via Vittorio Veneto il reduce della grande guerra Emanuele Manicone rispose con una coltellata alle provocazioni di un tedesco rivolte a lui e ai presenti. La ribellione, che covava da giorni, dilagò ben presto in tutta la città bloccata il 21 settembre, con cittadini armati e militari, al comando eroico del capitano Giuseppe Cozzella e del tenente materano Francesco Nitti (1914-1979). Si contarono 11 morti e feriti, in Via Lucania, Via Cappellutti, fino alle 17.45 quando Von Schulenberg fece saltare in aria l’ex-Caserma della Miliziain Via Cappuccini, dove aveva incarcerato 16 civili e militari. Si salvò solo il salentino Giuseppe Calderaro, testimone dei fatti della feroce rappresaglia tedesca. Tra i 16 imprigionati, perirono tre civili innocenti di Martina Franca. Erano giunti a Matera la sera del 20 settembre per la celebrazione di una vicenda giudiziaria: l’avvocato Mario Greco (1906-1943), l’ufficiale Raimondo Semeraro (1908-1943) e il bracciante Tommaso Speciale (1909-1943). I tedeschi trovarono nella loro auto, guidata dall’autista tarantino Francesco Lecce (1907-1943), una targa inglese. Scambiati subito per spie degli angloamericani, sbarcati sulle coste ioniche il 9 settembre e diretti a Castellaneta, dove ci furono scontri cruenti, verso Matera. La città fu insignita con medaglia d’argento al valor militare nel 1966 dal Ministro Tremelloni (1966-1968) e della medaglia d’oro al valor civile nel 2016 dal presidente Sergio Mattarella. Della Strage si occupò tra i primi Carlo Levi (1902-1975) confinato ad Aliano, con Tre ore Matera (1952). La ricostruzione della Strage è stata finalmente chiarita dopo la traduzione in italiano dei War Crimes at Materada parte di Francesco Ambrico, che ha permesso di conoscere le dinamiche di una strage dimenticata dalla storiografia nazionale ma documentata dal capitano inglese Wiliam James Hutchins, inviato sul posto nel 1944.
I tedeschi, dopo azioni di sabotaggio alla Società elettrica, uccidendo gli addetti, arretrarono, facendo terra bruciata, verso Salerno e Napoli, dove, come è noto, i cittadini diedero vita alle quattro giornate del 27-30 settembre liberandola, al costo di centinaia di morti tra civili e partigiani. Una pagina storica. Lungo la ritirata, il 24 settembre commisero la rappresaglia di Rionero in Vulture con 16 civili trucidati. Una parte della Wehrmacht risalì lungo l’Appenino lucano-abruzzese. La divisione nazista sempre ai comandi di Von Schulenberg, risalita lungo l’appennino lucano-abruzzese,si macchiò dell’eccidio di Pietransieri, frazione di Roccaraso, esattamente due mesi dopo Matera, il 21 novembre. Furono uccisi 125 persone inermi, di cui 60 donne, 34 bambini al di sotto dei 10 anni, e molti anziani, senza motivazioni documentate, se non l’inottemperanza all’ordine di Von Schulenberg di evacuazione dalle case montane.
Una lunga scia di sangue che partì dal Sud fino al Centro Nord, come ha documentato nel suo libro il giornalista Franco Giustolisi (1925-2014) del 2004, L’armadio della Vergogna, in cui denunciò le 695 stragi nazifasciste impunite e inscatolate in un armadio della Procura Militare della Repubblica, dopo la conclusione della Guerra e l’inizio della guerra fredda, per ordine del governo. Per pareggiare le stragi nelle Foibe del Maresciallo Josif B. Tito (1890-1980). Proprio sulla strage di Matera fu riaperta un’inchiesta dalla Procura di Bari nel 1996, archiviata perché gli autori erano già defunti. A quell’ armadio impolverato era arrivato il giudice Antonino Intalisano, che indagava sulla fuga dal carcere di Herbert Kappler (1907-1978), l’autore dello massacro di innocenti delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1994.
Tra le 335 vittime ci furono19 pugliesi, tra cui il sacerdote di Terlizzi don Pietro Pappagallo (1888-1944), il regista Emanuele Caracciolo (1912-1944) e altri cittadini, giovani, intellettuali e lavoratori presenti a Roma all’epoca dell’attentato partigiano di via Rasella del 23 marzo 1944 e del successivo rastrellamento nazista per rappresaglia di 335 cittadini, dieci per ogni soldato tedesco ucciso, ordinata da Hitler direttamente a Kappler. Tra le vittime anche 5 calabresi.
I 335 Caduti rappresentavano l’insieme della società italiana per credo religioso, condizione sociale e professionale e per scelte politiche. In gran parte meridionali provenienti da Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, entroterra del Lazio. Per esempio, dei diciannove di origini pugliesi ben diciotto o erano attivi nella Resistenza o avevano manifestato esplicito dissenso alle politiche guerrafondaie e discriminatorie del regime (Vito Antonio Leuzzi IPSAIC- Puglia, 23 marzo 2025).
Il contributo popolare e massiccio alla Liberazione venne dai soldati che dopo l’8 settembre 1943 scelsero di continuare la guerra contro i nazifascisti, rifiutando di seguire il Duce nella RS Idel 23 settembre 1943, preferendo la fedeltà alla Bandiera italiana e seguendo le forze antifasciste del CLN (9 settembre 1943) e di Pietro Badoglio (1943-1944). Avvenne sui diversi fronti di guerra, dall’Africa alle isole greche del Mar Jonio Cefalonia, Corfù, Cos, nella ex-Jugoslavia e nel Centro Nord. Molti di loro divennero partigiani in Emilia, in Piemonte, in Lombardia nelle file delle Brigate Garibaldi, Matteotti, Gielline, del Popolo. Tantissimi militari del Sud, fatti prigionieri o riluttanti ai fascisti della RSI, furono internati nei campi di concentramento, di lavoro e di sterminio in Germania, trovandovi, sovente, la morte. In ogni comune del Sud ci sono stati ricordi di questi soldati noti come Italiani militari internati (IMI), con medaglie alla memoria al valor miliare e civile. Circa 600.000, a cui troppo tardi si è reso il dovere della memoria, inserendoli nella più generale Storia della Liberazione, a pieno titolo come i partigiani. 8750 solo nelle tre Province pugliesi di Brindisi, Lecce e Taranto tra partigiani e soldati IMI. (Pati Luceri)
Il crimine di guerra più tragico fu Cefalonia, dove la divisione Aqui del generale Antonio Gandin (1891-1943), rimasta senza ordini da Brindisi, dove si erano rifugiati il Re e Badoglio e senza gli aiuti, decise il 14 settembre con un referendum quasi plebiscitario di combattere, contro le truppe tedesche, di molto inferiori agli italiani, ma superiori per armi estormi Stukas. Hitler ordinò di non seppellire i corpi dei soldati italiani perché traditori. Fu una strage. Con i circa 180 ufficiali fucilati nella Casa Rossa di Acropoli e gettati in fossa comune. Agli oltre 6.550 morti, in combattimento e affondati in mare tra il 23 e il 28 settembre, pensò subito il Presidente, partigiano azionista in Abruzzo, Carlo Azeglio Ciampi, recandosi in pellegrinaggio nel 2001. I resti dei corpi dei soldati furono tumulati nel Sacrario dei Caduti di Oltremare a Bari (1967), omaggiato da Pertini nel suo viaggio in Puglia dal 1 al 4 marzo 1990.I prigionieri furono internati nei campi di concentramento e di lavoro coatto diversi paesi slavi e tedeschi, di ritorno a casa dopo sofferte peripezie, molto dopo il 1945. Cefalonia fu il simbolo della resistenza militare. Tra quei soldati c’erano moltissimi ragazzi abruzzesi,calabresi, campani, lucani, pugliesi, siciliani, contadini e braccianti che rifiutarono con dignità meridiana la consegna delle armi al nuovo nemico e la resa incondizionata. I sopravvissuti, in una ricerca da me curata, raccontarono che un solo grido li accomunava prima di morire, Dio e Mamma. Erano i leali ragazzi del Mediterraneo, narrati dal colonello superstite Giovanni Pietro Liuzzi nel 2007.
La guerra è la cosa più stupida che gli uomini possono fare – testimoniò Giovanni Speciale di Martina Franca, che a soli 7 anni si riprese il padre Tommaso perito nella strage di Matera – L’unica cosa che resta sono le ferite e i traumi di generazioni di bambini che hanno seppellito i propri padri e i propri affetti (Antonio Scialpi, 2008).
L’oblio di questi eventi ha vinto purtroppo la partita a scacchi non solo con la storiografia ma anche con la Memoria del Sud. L’80 anniversario della Liberazione può essere un’opportunità per riscoprire pagine eroiche per la Dignità,Giustizia e Libertà nel Sud e in Italia. Contro ogni guerra e dittatura.

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