di Maria Scerrato
Mentre lo shopping online continua a crescere, portando alla chiusura di molti negozi fisici, a Sora e Cassino i mercati di strada resistono con forza. In provincia di Frosinone, si contano ben 778 attività di commercio ambulante: un numero che testimonia la vitalità di un settore ancora capace di attrarre e innovarsi, mantenendo vivo il legame diretto tra venditore e cliente.
Questi mercati non offrono solo prezzi competitivi, ma anche un’esperienza sensoriale e sociale. È un piacere aggirarsi tra i banchi colorati, scegliere i prodotti toccandoli con mano, lasciarsi guidare dai profumi – come quello della celebre ciambella di pane sorana – e scambiare due parole con chi vende, magari trattando sul prezzo. In un’epoca in cui i rapporti umani sembrano sempre più filtrati da schermi e algoritmi, questo contatto diretto assume un valore prezioso.
Negli ultimi trent’anni, i mercati all’aperto hanno vissuto una vera e propria trasformazione, simile a una “successione ecologica”: molti venditori italiani hanno lasciato il posto a nuovi imprenditori, in particolare di origine straniera. Già nel 2008, nel Lazio, oltre il 33% delle licenze ambulanti era intestato a cittadini non italiani. Provenienti soprattutto da Asia e Nord Africa, questi nuovi operatori – specializzati spesso in abbigliamento, alimentari o oggettistica – hanno arricchito l’offerta con i loro prodotti e sapori.
Il risultato è un mosaico multiculturale che si riflette tanto nei banchi quanto tra i clienti. Passeggiando il giovedì mattina tra le bancarelle di Sora o durante il weekend in piazza Green a Cassino, si nota una clientela sempre più eterogenea: accanto agli habitué locali, ci sono le famiglie degli immigrati che cercano prodotti tipici dei loro Paesi o fanno la spesa a prezzi più accessibili. Questo incontro tra esigenze diverse genera uno scambio continuo, dove le culture si contaminano e si arricchiscono a vicenda.
Non è raro vedere un tessuto batik accanto a un abito “made in Italy”, o spezie esotiche condividere lo spazio con salumi e formaggi nostrani. I venditori stranieri non portano solo nuove merci, ma anche nuove richieste: stimolano il mercato a reinventarsi e ad adattarsi a gusti in continua evoluzione.
Ed è proprio questa capacità di rinnovamento che rende vivi i mercati. Gli operatori sperimentano, comunicano sui social, coinvolgono i giovani e ampliano le proprie reti anche oltre i confini nazionali. La diversità non è percepita come una minaccia, ma come una risorsa che arricchisce e stimola nuove connessioni.
Oggi, il commercio ambulante racconta una storia antica che non ha paura del cambiamento. Camminare tra le bancarelle non significa solo fare la spesa, ma scoprire storie, volti, accenti. Un “prego, signò!” può arrivare con inflessione italiana, marocchina o bengalese, ma trasmette sempre lo stesso messaggio: accoglienza, umanità, condivisione.
Il mercato, dunque, è molto più di un luogo di scambio commerciale. È un laboratorio sociale a cielo aperto, uno spazio dove ogni giorno prende forma l’incontro tra culture. E sono proprio queste contaminazioni a rendere unici i mercati dell’Alta Terra di Lavoro: un piccolo universo che ci insegna quanto sia importante custodire le radici, ma anche aprirsi al nuovo, con curiosità e rispetto.
Perché il mercato, in fondo, è vita. È integrazione, relazione, scoperta continua.