Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Mario Garofalo

C’è una ferita profonda che attraversa l’Italia da oltre 160 anni. Una frattura mai davvero ricomposta, che separa il Nord dal Sud, le aree metropolitane dai territori interni, le regioni “efficienti” da quelle “fragili”. È un solco che non riguarda più solo la geografia: riguarda l’accesso ai diritti fondamentali, alla salute, alla mobilità, all’istruzione, al lavoro. Eppure, questa frattura resta ai margini dell’agenda politica. Anzi: sembra che il sistema partitico italiano abbia ormai scelto, consapevolmente, di conviverci. 
È la dimostrazione – lampante, documentabile – di quanto il nostro sistema politico sia diventato autoreferenziale, miope e sostanzialmente rassegnato all’ingiustizia territoriale. Lo dimostrano i dati, lo confermano le analisi, lo testimoniano i cittadini che ogni giorno vivono in condizioni diseguali a seconda del codice di avviamento postale. 

Sanità, trasporti, scuola: dove nasci determina ciò che puoi avere 

Nel 2024, i LEA – Livelli Essenziali di Assistenza – non sono garantiti in modo uniforme. In Campania, Calabria, Sicilia e Puglia si registrano carenze croniche nei servizi sanitari, con strutture obsolete, personale insufficiente, liste d’attesa spesso fuori controllo. Allo stesso tempo, in alcune regioni del Nord si discute di autonomia differenziata per trattenere più risorse sul territorio. 
Sul fronte dei trasporti, i divari sono ancora più evidenti. Secondo i dati del Ministero delle Infrastrutture, l’intero Sud assorbe meno del 20% degli investimenti infrastrutturali programmati negli ultimi dieci anni. Treni lenti, collegamenti ridotti, linee ferroviarie non elettrificate: viaggiare da Matera a Napoli è più complicato che da Milano a Berlino. 
Il mondo dell’istruzione non è da meno. Le statistiche INVALSI mostrano un abbassamento progressivo dei livelli di apprendimento al Sud, spesso correlato alla dispersione scolastica, alla mancanza di edifici sicuri e a contesti familiari in maggiore difficoltà economica. 

Il PNRR come occasione mancata

La più grande occasione di riequilibrio territoriale era rappresentata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ma la distribuzione delle risorse, anziché colmare il gap, ha finito per riprodurre le stesse logiche che da decenni penalizzano i territori più fragili. Molti fondi non sono stati utilizzati per mancanza di progettualità locale – un limite noto da tempo – ma senza che lo Stato centrale si assumesse la responsabilità di fornire supporto strutturato e tempestivo. 

Una classe politica senza visione 

Quello che emerge è un sistema politico bloccato. Nessun partito – né di maggioranza né di opposizione – ha oggi un piano organico per affrontare la questione territoriale. La frammentazione parlamentare, l’ossessione per il consenso immediato, il calcolo elettorale costante hanno spinto i leader a concentrarsi su misure visibili, semplici da comunicare, ma incapaci di incidere sulle diseguaglianze strutturali. 
L’unità nazionale, in questa prospettiva, non è più un valore costitutivo, ma un concetto elastico, utile solo quando serve a chiedere voti o a far quadrare i conti pubblici. Quando si tratta di redistribuire ricchezza, di investire dove il ritorno elettorale è incerto, di affrontare riforme complesse, allora il silenzio politico diventa assordante. 

Conclusione: l’emergenza ignorata 

L’Italia è oggi un Paese dove l’accesso ai diritti dipende dal luogo di nascita. Dove milioni di cittadini vivono una realtà diversa, più difficile, più lenta, più fragile. Eppure, questa non è un’emergenza improvvisa: è un’inaccettabile normalità. Finché la politica continuerà a voltarsi dall’altra parte – o peggio, a usarla come strumento di divisione – la frattura territoriale continuerà a crescere. E con essa, l’idea stessa di una Repubblica “una e indivisibile” sarà poco più che una formula vuota. 
Come cittadini del Mezzogiorno, continuiamo a monitorare, denunciare, e raccontare queste diseguaglianze. Perché riconoscerle è il primo passo per non legittimarle.

Condividi: